Eutanasia in Italia e all’estero: ecco che cosa succede

Ciclicamente alla ribalta della cronache nazionali, il tema dell’eutanasia è ancora avvolto in un contesto di incertezze normative e prudenze etiche. Ma che cosa è l’eutanasia? Quale è la situazione in Italia? E che cosa avviene nel resto del mondo?

Abbiamo provato a fare il punto su questo importante argomento, nella speranza che possa essere di chiarimento per molti dei nostri lettori.

Che cosa è l’eutanasia

L’eutanasia consiste in una eterogenea serie di procedure finalizzate a procurare intenzionalmente la morte di un individuo, limitatamente a quelle ipotesi in cui la sua qualità della vita risulti essere definitivamente compromessa da malattie, menomazioni o condizioni psichiche. Letteralmente definibile come “buona morte”, non va confusa con altre pratiche concernenti la fine della vita, come la terapia del dolore, il rifiuto dell’accanimento terapeutico, la cessazione delle cure, il suicidio assistito.

Quando si parla mediaticamente e comunemente di eutanasia, si suole riferirsi principalmente alla c.d. “eutanasia attiva”, ovvero a quelle pratiche in cui il decesso del paziente è provocato dalla somministrazione di farmaci che inducono la morte.

eutanasia

L’eutanasia in Italia: qual è la situazione

In Italia l’eutanasia attiva non è regolata da alcuna norma, con la conseguenza che la sua eventuale pratica può essere accomunata all’omicidio volontario di cui all’art. 575 c.p. Nel caso in cui invece chi esercita l’eutanasia sul paziente riesca a dimostrare la volontà e il consenso del malato, le pene applicabili sono quelle dell’art. 579 c.p., recante la disciplina dell’omicidio del consenziente, e risultano comunque essere piuttosto gravi (da sei a quindici anni di reclusione).

Anche altre forme di “accompagnamento” alla morte sono punite severamente dal codice penale. Si pensi al suicidio assistito, considerato reato ex art. 580 c.p.. Più “tenue” è invece la posizione in caso di eutanasia passiva, ovvero dalla condizione di interruzione o di omissione di un trattamento medico che si renda necessario alla sopravvivenza dell’individuo.

Eutanasia e suicidio medicalmente assistito

Insomma, in Italia al momento l’eutanasia è illegale. Ad essere ammesso, grazie alla sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale, è invece il suicidio medicalmente assistito, l’aiuto indiretto a morire da parte di un medico.

Affinché tale procedura sia consentita, però, devono sussistere contemporaneamente quattro condizioni:

  1. la persona che ne fa richiesta deve essere pienamente capace di intendere e di volere;
  2. deve avere una patologia irreversibile;
  3. la patologia deve apportare gravi sofferenze fisiche o psichiche;
  4. la persona sopravvive grazie a trattamenti di sostegno vitale.

Come ricorrere al suicidio assistito in Italia

La persona affetta da patologie che ritiene di rispettare le quattro condizioni di cui sopra, può fare richiesta del suicidio medicalmente assistito rivolgendosi alla struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale in maniera tale che i medici possano verificare i requisiti già rammentati.  La richiesta può essere effettuata su carta bianca, non esistendo un modulo predefinito.

Una volta inviata la richiesta, una commissione medica multidisciplinare nominata dalla ASL si occuperà di accertare la presenza dei requisiti e – in caso positivo – di indicare il farmaco legale e la sua modalità di autosomministrazione. La commissione dovrà anche appurare che la volontà dell’interessato è stata manifestata in modo chiaro e univoco e che il paziente sia adeguatamente informato delle sue condizioni, delle possibili soluzioni alternative, come ad esempio la possibilità di accedere alle cure palliative e eventualmente anche alla sedazione profonda continua.

Al termine della procedura, la commissione competente stilerà una relazione. Il fascicolo verrà poi inviato al comitato etico territorialmente competente, un soggetto terzo che assicura il rispetto dei diritti della persona malata che ha fatto richiesta di suicidio medicalmente assistito.

Al comitato etico è dunque richiesta la formulazione di un proprio parere che è obbligatorio ma, comunque, non vincolante per la ASL.

Differenze tra eutanasia e suicidio medicalmente assistito

Come abbiamo visto, le due pratiche – eutanasia e suicidio medicalmente assistito – sono molto diverse tra di loro, ma partono da alcuni elementi in comune: la volontà della persona malata, cosciente e in grado di intendere quali saranno le conseguenze delle sue azioni, e l’esito finale desiderato dalla stessa persona.

La differenza riguarda pertanto la modalità di esecuzione e di coinvolgimento di altre persone. Nel caso di suicidio medicalmente assistito, infatti, è il paziente che può autosomministrarsi il farmaco letale. L’eutanasia prevede invece l’intervento di un medico per la sua somministrazione.

La sospensione dei trattamenti sanitari

Un tema ancora diverso e altrettanto delicato è poi costituito dalla sospensione dei trattamenti sanitari prevista dall’art. 32 della Costituzione (secondo cui nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”) e dall’articolo 13 della stessa Carta (La libertà personale è inviolabile).

I diritti sono poi stati ribaditi anche dalla legge n. 219/2017, secondo cui “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”.

Tra i diversi trattamenti in questione rientrano sicuramente la nutrizione e l’idratazione artificiale, considerati come somministrazione di nutrienti mediante dispositivi medici.

E’ evidente che la rinuncia a tali trattamenti, così come agli altri (es. farmaci o assistenza) può avere come conseguenza diretta o indiretta la morte della persona che revoca il proprio consenso.

Ancora diversa è infine l’ipotesi di sedazione profonda e continua (o palliativa), la cui finalità è quella di ridurre il dolore non trattabile, riducendo la coscienza della persona che la richiede, fino al suo annullamento. A potervi fare ricorso sono tutte quelle persone che sono affette da malattie in stadio avanzato e i cui sintomi sono intrattabili altrimenti.

L’eutanasia nel resto del mondo

Nel resto del mondo la disciplina sull’eutanasia è molto varia. In Svizzera, ad esempio, dove diversi malati terminali italiani hanno fruito della “dolce morte”, la normativa è piuttosto “generosa”, ammettendo anche il suicidio assistito, e anche in favore di cittadini stranieri.

Altra nazione piuttosto “aperta” su tal fronte sono i Paesi Bassi: qui nel 2000 il Parlamento approva la legalizzazione dell’eutanasia, contribuendo a rendere l’area la prima al mondo a poter ammettere in vigore una simile disciplina.

Ulteriormente, al di fuori dell’Europa non mancano le nazioni in cui il legislatore si è mosso più o meno tempestivamente per poter agevolare il quadro normativo: in Cina esiste ad esempio una legge che permette gli ospedali a praticare l’eutanasia ad alcuni malati terminali, in Canada dal 2016 esiste una legge che autorizza il suicidio assistito, mentre negli Stati Uniti la normativa varia a seconda dello Stato, con diverse zone (Vermont, Oregon, Montana, California, Washington) in cui il suicidio assistito è diventato legale.

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